Appunti sul corteo antifascista del 17 luglio 2017

È difficile dopo una settimana, e dopo il rumore che si è diffuso prendere una posizione. È difficile, soprattutto, contrastare la falsificante polarizzazione delle opinioni che sempre spinge verso uno o l’altro fronte, che determina chi sono i buoni e chi sono i cattivi, dov’è il bianco e dov’è il nero, senza possibilità di grigi, discussioni, complessità. Da un lato una fotografia: due ragazze circondate dalla celere, il rosso dei fumogeni, il braccio che impugna il manganello alzato a colpire. Dall’altro le serrande dei bar che si abbassano, la testuggine che avanza corazzata; le scene di guerriglia, ingiustificate agli occhi dell’opinione pubblica. La condanna inappellabile della violenza che cade puntuale. Noi e loro. I centri sociali e i cittadini. Visioni schematiche e manichee che nei giorni successivi sono state prodotte e riprodotte, incapaci di aderire alla realtà di quello che è successo.  La lettura che abbiamo dato lunedì sera mentre tornavamo a casa dal corteo non è cambiata, e nemmeno il senso vivo di amarezza e di rabbia che proviamo anche nei confronti dei nostri.  Il pensiero che anche questa, alla fine, l’abbiamo persa.

I fatti, o quello che più si avvicina, per chi non c’era: Forza nuova convoca una manifestazione nel centro di Padova contro Ius Soli per la sera del 17. Sfruttando paura, xenofobia e fomentando un’insopportabile guerra fra poveri, i fascisti cercano consensi. Il movimento padovano, nelle molte parti di cui è composto ma unito nel dire che «a Padova i fascisti non devono poter sfilare», convoca a sua volta una manifestazione. Al centro il diritto alla cittadinanza per i nati in Italia: un tema in merito al quale dovremmo stupirci del fatto che ne stiamo ancora discutendo. Qualche giorno prima, dalla questura si viene a sapere che «no, i militanti di Forza Nuova non faranno cortei, ma solo un presidio in Piazza Antenore», e noi di contro, solo un presidio in Piazza Insurrezione: concentramento ore 19 e 30, bandiere e striscioni. Verso le 21 scopriamo che un buon numero di militanti di Forza Nuova e un manipolo del Fronte Skin-Head (si parla di 150 persone, forse 200) si è messa in marcia verso Prato della Valle. Il nostro presidio diventa un corteo: «a Padova i fascisti non devono poter sfilare.», lo ripetiamo convinti. Attraversiamo il centro; la parte centrale di Piazza dei Signori è occupata da cittadini, studenti, turisti seduti a fare l’aperitivo. La polizia tenta di spezzare a metà il corteo ma riusciamo a ricomporci passando in mezzo ai tavolini dei bar ed entriamo in Piazza delle Erbe. La celere ci accerchia, ci separa da un lato da quelli che, un po’ scossi, continuano a fare l’aperitivo, dall’altro, sembra, dai fascisti. Qui la tensione si alza: la testa del corteo accende i fumogeni, tira fuori gli scudi e i caschi; la polizia prende tutta posizione di fronte a noi (dalla parte dove ci sono i fascisti). I nostri si avvicinano, la celere si avvicina, un passo e un passo fino al contatto. Dieci minuti di scontri, qualche scoppio, qualche bottiglia, manganellate, tre arresti.  La situazione si riequilibra. Dal microfono i vari oratori tentano di spiegare la necessità dell’azione, e ribadire che se i fascisti vogliono sfilare per Padova questo è quello che devono aspettarsi: loro, la polizia, la questura, il comune. A Padova l’antifascismo mena. Ce n’è torniamo – a dire il vero un po’ mogi, come fiacchi e in preda ad una sorta di nichilismo post-orgasmico – in Piazza Insurrezione. Pochi canti e passi trascinati. Un gruppo di ragazzi e ragazze di colore tenta di intonare un coro che inneggia alla cittadinanza per i nati in Italia. Ce n’eravamo un po’ dimenticati, dello Ius Soli.

Non si vuole qui criticare la violenza in astratto, dire che se alzi la mano hai già perso; chiunque contempli un po’ di complessità non può fissarsi su una posizione così semplicistica, se non pensando al martirio come punto d’arrivo.  Non viviamo in una società liberata dalla violenza, anche se quelli seduti al Bar a fare l’aperitivo in Piazza dei Signori potrebbero pensarlo. La violenza c’è, la celere non avrebbe altrimenti caschi-scudi e manganelli, e non saremmo qui a parlare di fascisti. Migliaia di italiani ingabbiati nelle maglie burocratiche dei permessi di soggiorno: questa non è nient’altro che violenza. Ma immaginatevi una lavagna, immaginate di dividerla a metà con il gessetto, a sinistra scrivere pro, a destra contro. Il corteo ha voluto lo scontro lunedì sera, che l’abbia iniziato o meno, che abbia caricato o che sia stato caricato, era lì per quello. La questura non doveva permettere a Forza Nuova di sfilare. Un pro sul lato sinistro della nostra lavagna: lo sfogo per la frustrazione prodotta da un corteo fascista che attraversa la nostra città, le strade che camminiamo tutti giorni; qualcosa che bisogna avere la forza di non smettere di sentire insopportabile. Non semplicemente uno sfogo quindi, ma anche una reazione forte alla presenza di neofascisti.

Ma i contro sono tanti. Ne presentiamo solo uno.

La nostra possibilità di agire sulle sorti collettive ci sembra oggi soffocata sotto le spinte di un’economia di mercato che si vuole neutra e naturale, di un’ideologia che si nasconde dietro la bandiera della non-ideologia e che come risultato ultimo ha reso possibile, in nome della libertà di parola, la sfilata di neofascisti per le nostre strade, lunedì sera. Dove il potere politico (in questo caso, la questura) risponde favorevole alla presenza fascista, permettendole di marciare per le stesse strade da cui settant’anni prima era stata cacciata – con buona pace dell’opinione pubblica – la scelta è stata quella di non scendere a compromessi, andare dritti sbattendo contro il muro dell’istituzione. C’è stata la parvenza di agire, mossi dalla convinzione che, per non essere passivi di fronte a quello che succedeva, lo scontro fosse l’unica azione reale, anche se simbolica. E l’azione c’è stata, non siamo rimasti inermi di fronte a scelte fatte altrove, almeno questo è quello che continuiamo a dire e dirci sui social e nei nostri discorsi quotidiani: abbiamo combattuto contro il fascismo, abbiamo seguito le orme di quelli che l’hanno fatto prima di noi e di cui ci sentiamo gli eredi legittimi. Non illudiamoci: è una parte di verità, accessibile, molto probabilmente, solo a quelli che erano presenti alla manifestazione di lunedì sera. Un discorso prodotto quasi esclusivamente per una ristretta enclave (per non dire setta e per non usare l’aggettivo esoterica); un discorso chiuso con il quale, alla fine, riusciamo a convincere solo noi stessi. I due messaggi principali che si voleva portare alla città sono stati o strumentalizzati a causa degli scontri («i veri fascisti sono i violenti dei centri sociali») o ignorati (tra le tante opinioni che sono girate su internet in merito ai fatti di lunedì sera, difficile trovare almeno un cenno in merito allo Ius Soli). Chiediamo – questa volta come redazione di Figure – se i fascisti e qualsiasi tipo di fascismo debbano oggi essere ricacciati grazie alle minacce di una minoranza o per il discredito di una maggioranza che faccia dell’antifascismo una pratica più diffusa; se è possibile, per una volta, tentare vincere o quanto meno agire pensando di poter vincere. Una domanda, questa, rivolta a tutti: ai compagni dei centri sociali, a quelli seduti al bar in piazza dei Signori, e a noi stessi.

Lascia un commento