Vi annoierò, ma non posso fare altrimenti. La repressione non è mai banale. È sottile, capillare e raggiunge gli antri più reconditi delle vite di ognuna e di ognuno di noi. Estirparla è un compito complesso. Per questo, oggi, vi annoierò.
Una testata giornalistica locale ha dato spazio nel suo numero di domenica all’articolo di un giornalista che chiameremo Signor X. Ci si potrebbe aspettare che l’articolo abbia in sé rilevanza informativa, oppure che sia frutto di una penna agile e scattante, pronta a offrire una piacevole lettura festiva. Che delusione allora quando ci troviamo a leggere un pezzo desolante, il cui unico obiettivo è quello di delegittimare agli occhi dell’opinione pubblica (della cui educazione il Signor X si crede di certo incaricato) la vita di una ragazza. Questa ragazza la chiameremo R.
Iniziamo osservando come la bravata romanzesca del Signor X sia costruita rispettando i canoni narrativi del cinema hollywoodiano: quelli creati da D.W. Griffith, celebre agiografo del Klu Klux Klan. La scrittura proietta di colpo sulla scena, con l’intento di far immedesimare il pubblico per poterne così manipolare le emozioni e le paure. Chi legge riesce quasi a sentirsi parte della situazione. Agenti della celere che sbraitano, superiori che gridano ordini, una ragazza a terra che mena calci e pugni urlando mentre la ammanettano. Questa sequenza, narrata come sto facendo ora, fotografa soltanto la violenza della repressione su chi, a ben vedere, non ha dalla sua se non la ragione degli oppressi.
Il Signor X però è scaltro. Sa bene che gioca su un terreno difficile. L’occhio della cinepresa si stringe e inquadra solo il volto di R, comprensibilmente furente e adirato. Il microfono messo a disposizione del Signor X., casualmente, non registra altro suono che il grido di R: «Vi odio tutti!». Da questa incredibile zoomata, la camera ritorna bruscamente indietro, dal primo piano al campo lungo, includendo i passanti attorno, facendoci credere che quel grido sia rivolto alle persone normali e non, come era, ai poliziotti che la stavano ammanettando. Una scena di violenza repressiva da parte delle forze dell’ordine si trasforma nell’attacco di una pazza inferocita contro i comuni passanti: quel coup de théâtre!

In questo primo capoverso dell’articolo vediamo già dispiegata tutta la strategia retorica e narrativa del Signor X: creare la figura di R come nemica pubblica, demolire il suo ruolo di soggetto che rivendica dei contenuti politici, per proporla come individuo “armato e pericoloso” che chiunque potrebbe incontrare per strada in un caso sventurato. Il Signor X non vuole entrare nel merito dei contenuti sociali e politici per cui R era a terra ammanettata. La sua intenzione è semplicemente additarla come persona da ghettizzare, in quanto potenzialmente lesiva per tutti. Il che è quantomeno paradossale, visto che R manifestava proprio perché fossero garantiti i diritti di tutte e di tutti.
Il Signor X è tutt’altro che ingenuo. Conosce perfettamente il potere che la sua posizione di “giornalista” gli conferisce. La maggior parte del suo pubblico non era certo in piazza con R quella sera. Era a casa, dopo il lavoro, stanca. Lui scrive da un noto giornale, è autorevole, sicuro di sé, propone interpretazioni e illazioni come fossero fatti. Come si potrebbe non credergli? Io gli crederei. Tutti gli crederemmo. E lui se ne approfitta.
Dopo avere creato suspense con il suo primo capoverso a effetto (suspense, certo, perché il Signor X non deve solo reprimere, deve anche intrattenere come ogni bravo regista di Hollywood), ci viene finalmente fornita qualche notizia. I principali dati anagrafici di R vengono spiattellati brutalmente. Il Signor X è poco informato, visto che crea ad hoc l’affiliazione di R a una realtà politica padovana (il Collettivo Gramigna) che nemmeno esiste più e che non si dovrebbe riesumare solo con un veloce accostamento parentetico, come invece viene fatto. R sarebbe «una militante del Collettivo Gramigna (ora Marzolo Occupata) …». Basta una parentesi per connettere R ad altre vicende che suscitano immediatamente associazioni per nulla attinenti alla storia che dovrebbe essere raccontata. Chi non farebbe tali associazioni? Io le farei. Tutti le faremmo. E lui se ne approfitta.
In modo volutamente oppositivo, il Signor X si lascia sfuggire, quasi per sbaglio, un’altra informazione: «… ma è anche una docente dell’Istituto [Enrico Fermi, nome di fantasia]. Insegna Matematica». Il puzzle sta pian piano prendendo forma. Non solo la cagna rabbiosa che urlava ai passanti fa parte di un covo di sediziosi, ma è lei quella a cui lo stato ha delegato l’educazione dei vostri figli, cari concittadini! È lei che si occupa della loro sicurezza quando voi, la mattina, li portate a scuola e andate al lavoro! Si noti il climax ascendente, la caratterizzazione roboante di una persona pericolosa sino alla violenza e poi l’avversativa sibillina, costruita così da sembrare l’opinione di un cittadino perbene che si sdegna per l’accaduto. Chi non condividerebbe il timore per le proprie figlie e per i propri figli? Io lo condividerei. Tutti lo condivideremmo. E lui se ne approfitta.
Arriva ora un gioiellino retorico non da poco. Leggiamo una frase mirabolante del nostro Signor X: «Al netto delle polemiche, degli scontri in piazza, dell’avanzata di Forza Nuova che a Padova sembra aver trovato nuovo vigore, i riflettori si puntano su di lei, su questa sua doppia vita». Questa frase si presenta come una semplice constatazione. L’autore fa di tutto per presentarsi come alieno a ogni settarismo, lontano dalla polemica. Lui sta solamente constatando che “al netto” di tutto quello che è successo, ciò che conta è un’altra cosa. Questa si impone come una necessità assoluta, come un fatto innegabile, di cui la comunità deve prendere atto. Proprio quando è lui stesso a inventare la netta dicotomia fra l’attivista e l’insegnante, ci dice soltanto che «… i riflettori si accendono …». È la sua città che glielo chiede e lui, cittadino comune indignato, risponde. Chi non vede che è in questa “doppia vita” (terminologia demonizzante scelta appositamente) a risiedere il vero nodo cruciale? Chi non si accorge che poi, finite le manganellate e ristabilito l’ordine pubblico, ciò che conta è che questo individuo sedizioso si prende cura dei nostri figli e delle nostre figlie? Io me ne accorgerei. Tutti se ne accorgerebbero. E lui se ne approfitta.

L’invenzione della doppia vita di R procede macchinosa. Mescolando sapientemente informazioni biografiche e descrizione della serata in cui R è stata fermata dalle forze dell’ordine, il Signor X continua la sua creazione favolistica. Anche in questo caso viene posto l’accento sugli aspetti più violenti del comportamento di R. Che ragazzaccia! Insulta gli agenti che la stanno garbatamente ammanettando! Ma che poca creanza nel rivolgersi al maresciallo dei carabinieri! La portano in questura, dopo che nulla aveva fatto se non difendersi da una carica del tutto ingiustificata, contro manifestanti a mani alzate, travestiti farsescamente da massaie. E ha pure il coraggio di divincolarsi? Che irriducibile antagonista! Ho come il sospetto che il termine “irriducibile”, presente nel titolo del pezzo, voglia in realtà dire: irrecuperabile.
Che buffo il Signor X. Mi ricorda tanto uno di quei parrucconi di Dickens che, sbattendo fuori dall’orfanotrofio il piccolo Oliver Twist con la grave accusa di aver chiesto altra minestra, commentano: “Questo qua finirà impiccato!”.
Ma non finisce qui. Il Signor X deve dimostrare di aver fatto i compiti a casa. Ci propone quindi una ricostruzione tutta sua della biografia di R che viene subito inquadrata come un caso del tutto catastrofico. Data l’enormità del racconto grottesco, lettrici e lettori si potrebbero chiedere: “Ma com’è possibile che una persona sia ridotta così?”. Il Signor X però non può permettersi che il suo pubblico rifletta. Lettrici e lettori devono essere sempre guidati dalla sua mente chiara e dalla sua penna veritiera, con cui prontamente risponde alla domanda, associando R a un gruppo che – accidenti a loro! – rivendicava il diritto di ognuna e ognuno ad avere una casa dove vivere. La polizia ha sfollato l’occupazione degli appartamenti e R si è trovata (cit.) «al centro delle indagini». Non importa se le accuse si siano poi dimostrate infondate in sede giudiziaria. Perché dilungarsi con gli esiti di un processo legale, quando l’opinione pubblica ha lui, il Signor X, a condannare i vivi e i morti? Responsabilità collettiva e individuale sono silenziosamente accorpate, perché il racconto del Signor X deve convergere su un punto specifico: R ha già avuto problemi con le forze dell’ordine. La sconfortante povertà di analisi di questi passaggi e le omissioni sono “motivate” dall’evidente intento di descrivere R come una donna che non si sa gestire da sola senza sfociare nell’illegalità. Non solo è stata portata in questura e denunciata, ma è anche una “delinquente seriale”. Chi non si preoccuperebbe sapendo che la persona a cui sono affidate le nostre figlie e i nostri figli era già stata fermata prima di venerdì? Io mi preoccuperei. Tutti ci preoccuperemmo. E lui se ne approfitta.
Il Signor X deve avere un problema con le connessioni logiche. Il nesso fra premessa e conclusione gli sfugge completamente. Le sue asserzioni sono affastellate per giustapposizione. Così, per rimediare alle sbavature, collega quanto accaduto la sera di venerdì alla biografia di R mediante un paragone. A fornirgliene l’occasione è il caso di (cit.) «Lavinia Flavia Cassaro, la prof. torinese di 38 anni, ripresa mentre augurava la morte ai poliziotti durante un corteo lo scorso anno». Che maestro del sospetto! Non solo ci indica una persona da estromettere, ma ci fa anche notare come non sia il primo caso, come R faccia parte di una classe di irrecuperabili. Perché, però, lo fa? La risposta è semplice. Il Signor X sa bene che la professoressa di Torino è stata licenziata subito dopo l’accaduto. A chi legge quindi non è suggerito un paragone, bensì una soluzione. Ecco, cari concittadini, cosa dovrebbe fare il provveditorato: metterla alla porta! Il verdetto è stato emesso, la pena decisa. D’altronde, chi non la vorrebbe vedere licenziata? Io lo vorrei. Tutti lo vorremmo. E lui se ne approfitta.

È l’ora del gran finale. Il Signor X deve ancora estrarre la sua carta vincente dal mazzo. Si è preparato accuratamente il terreno. Vediamo infatti riproposto lo schema che ha già messo all’opera. Climax ascendente di descrizioni splatter dei comportamenti e della vita di R con finale avversativo. Questa semplice, ma efficace strategia narrativa viene ora elevata a strumento compositivo di tutto il pezzo del Signor X. Ogni finale hollywoodiano che si rispetti, si sa, vuole i fuochi d’artificio. Bisogna quindi sfoderare il trucco vincente, quello più sottile ed efficace. Il Signor X non si tira indietro e introduce l’allusione.
L’allusione è uno strumento elitario. Consente a chi scrive un testo di non spiegare, di non giustificare, di non dimostrare, di non documentare ciò che dice. Serve semplicemente una strizzatina d’occhio a chi legge, per azionare quel meccanismo formidabile del “io so che tu sai che io so”. L’allusione implica un rapporto di complicità, quasi di familiarità e soprattutto costringe alla condivisione di un medesimo apparato di valori, di uno stesso metro di giudizio. È un mezzo potente. Proprio per questo dovrebbe essere utilizzato con parsimonia. Il Signor X però non si fa scrupoli. Le ultime righe dell’articolo sono spese a demolire l’attività di R come insegnante. Si noti che il Signor X non ha fonte alcuna eccetto una valutazione delle attività didattiche redatta dalla stessa R trovato sul web (e accessibile a chiunque). Ne vengono riportati due passaggi. Il primo è: «La classe, 20 alunni, presenta uno scarso interesse per le lezioni». Il secondo invece è: «Non vi sono problemi di comportamento, nonostante sia da attribuire ad un generale livello di sonnolenza». Questi due stralci non vengono nemmeno commentati. Il Signor X è talmente sicuro dell’efficacia della sua strategia retorica che non aggiunge altro e chiude il pezzo con la seconda frase.
Ci si potrebbe chiedere perché abbia inserito queste citazioni. Invece la domanda che, non a caso, il testo fa in modo di suscitare in chi legge è un’altra: “Perché quella classe non segue e presenta un «generale livello di sonnolenza»?”. Anche in questo caso lettrici e lettori non devono pensare, ma non ne hanno neppure bisogno. Il Signor X ha incastrato i tasselli del mosaico in modo tale che la risposta venisse spontanea: “Perché a educarli hanno messo questa pazza criminale. Un’arruffapopoli che dovrebbe solo stare in galera!”. Le citazioni dal documento redatto da R servono soltanto per dare una presunta esemplificazione alla tesi generale dell’articolo. R sarebbe del tutto inadatta a occupare il ruolo che le è stato affidato.
La disonestà intellettuale messa in mostra dal Signor X nell’utilizzo della sua fonte è tale che potrebbe addirittura passare per dilettantesca. Non lo è. Il modo in cui un giudizio generico (da cui trapela anche un certo sconforto) viene utilizzato come prova evidente di incapacità è sintomo della superbia di chi ha il potere e lo usa a suo piacimento. È la boria di chi sa perfettamente di occupare un ruolo che gli consente di distruggere la biografia di chi, invece, non ha strumenti per rispondere. È l’insolenza di chi si è accontentato del proprio tugurio esistenziale e teme chi, non
sopportando le condizioni cui è sottoposto, cerca disperatamente di cambiarle. È la vanagloria di chi è certo di essere qualcuno, quando poi si trova ad attaccare una ragazza inerme. È l’arroganza di chi opprime, di chi distrugge senza ricostruire, di chi dalla sua calda e comoda casetta si consente, come divertimento del sabato, di gettare fango su qualcun’altra. È, ancora una volta, il maschio bianco occidentale che sfoga tutto se stesso su una donna in evidente posizione di inferiorità. È, ancora una volta, qualcuno che crede di poterci prendere in giro costruendo le informazioni in modo da generare paura e disgregazione sociale. È, ancora una volta, la repressione che tenta di trarci dalla sua parte, di impedirci di dare voce alle nostre rivendicazioni, di presentarci i partecipanti a una manifestazione pacifica come dei “fascisti di sinistra” violenti e riottosi. No, non questa volta, caro signor X. Noi, che quella sera eravamo con R a sentire quanto fa male quell’ordine che vuoi difendere, non ti crederemo.