La sala in Arcella – quartiere periferico sfruttato nelle sedi elettorali solo per produrre paura e razzismo – era gremita di persone (ne abbiamo contati centocinquanta) di tutte le età; di militanti e di persone semplicemente interessate, provenienti da Padova e da buona parte del Veneto. Nell’aria e nei discorsi a margine si respirava interesse ed entusiasmo, il senso di un bisogno profondo di ciò che in quella sede si stava costruendo per opporsi allo spostamento a destra della politica istituzionale.
Il progetto proposto è semplice: costruire una lista elettorale che riesca a tenere assieme persone, lotte, collettivi che a sinistra (quella vera) non hanno nessuno a cui guardare per le prossime elezioni; costruire questa lista elettorale proprio a partire dalle esigenze e dai problemi conosciuti da tutti quelli che vivono e agiscono sui territori, sui luoghi di lavoro, una particolare condizione dell’esistente. È tutto semplice, ma per dirla con Brecht, di quella semplicità difficile a farsi.
In questi giorni sta girando in rete un’immagine molto loquace: è una cartina dell’Italia punteggiata da tante stelline rosse ognuna delle quali rappresenta una delle assemblee territoriali organizzate. Le stelline sono davvero tante, diffuse quasi in ogni zona della penisola e costruiscono l’impalcatura di un soggetto nazionale del quale in molti, dentro e fuori il movimento, sentivano la necessità.
Seguiamo con interesse Potere al Popolo da un po’ di tempo; a settembre alcuni di noi sono stati a Napoli al festival dell’ex-Opg dove la rete ha preso forma; nei mesi successivi abbiamo tentato di capire – fra dubbi e entusiasmi – cosa veramente fosse questo azzardo elettorale, se poteva funzionare o se era il delirio di un gruppo di pazzi.
La prima cosa che emerge dall’assemblea padovana è la coscienza che le elezioni non sono un fine. Nessuno, realisticamente, pensa di vincere o di potervi partecipare alla pari con i partiti istituzionali. Nessuno parla di voti, di rappresentanze, di slogan e promesse. La campagna elettorale è un mezzo per portare discorsi di sinistra nel dibattito pubblico, accendere interesse nelle persone disilluse verso la politica e far scattare un meccanismo di partecipazione, tessere relazioni su scala nazionale. Il percorso partito da Roma un paio di settimane fa (ma che in realtà covava almeno da due anni in incognito) è un percorso lungo e articolato, che si snoda ben al di là della semplice scadenza elettorale. Si prospettano anni di lavoro per riuscire a riedificare un soggetto politico che possa essere capace di interpretare i bisogni e i problemi reali, e che sia in grado di portare nel dibattito pubblico discorsi radicali. Siamo all’anno zero, tutto è da costruire.
Le elezioni e la lista elettorale vogliono inoltre essere un megafono per tutto quello che nel nostro paese si fa, ma che non trova modo di esprimersi ad un livello più alto; per le lotte vinte (che a ben vedere non sono così poche) e per tutte le vertenze e i problemi che l’opinione pubblica non conosce, assordata dalle ennesime manovre di coalizione a sinistra (vedi alla voce “Brancaccio”) e dal chiassoso teatrino dei media. La territorialità si pone come il centro dell’organizzazione. La rete è costruita a partire dai suoi nodi; il suo programma e la sua identità, dovrebbero nascere dalle assemblee territoriali perché solo chi lavora sul territorio ne conosce veramente esigenze e problemi. È stato reso pubblico l’abbozzo di un programma (http://jesopazzo.org/index.php/blog/553-potere-al-popolo-proposta-programma) che nella sua semplicità mostra la natura in fieri dell’intero progetto: pochi punti fondamentali (diritto del lavoro, diritto all’abitare, tutela dell’ambiente, immigrazione…) ad aprire spazi di discussione diversi da quelli occupati dalla politica istituzionale. Non una verità, non una proposta da accettare o rifiutare, ma qualcosa da costruire. È stata più volte ribadita la necessità di un piano nazionale entro cui organizzare le lotte che riesca però contemporaneamente a tutelare le differenze dei territori. Il progetto napoletano – dicono i militanti dell’Opg presenti all’assemblea – non può essere esportato, per come è stato pensato per Napoli, a Padova e nel Veneto. La posta della scommessa è chiara: strutturare delle risposte all’altezza del tempo in cui viviamo, a partire dalle domande particolari che emergono dai singoli territori; tutelare i nodi della rete senza distruggere la rete stessa; costruire il progetto nazionale a partire dalle somiglianze e dalle differenze che le varie realtà sollevano.
Le problematicità e le contraddizioni insite in questo progetto sono tante, accompagnate però dalla coscienza della loro inevitabilità, nelle condizioni presenti; le critiche già fatte, e quelle che arriveranno nei prossimi mesi, dicono sicuramente qualcosa di vero e del quale bisogna tenere di conto, ma quello che passa e vuole passare è una volontà sincera di agire e di sporcarsi le mani, di parlare in quelle zone e a quelle persone alle quali da anni la sinistra (sia di movimento che istituzionale) non rivolge più la parola; non preoccupati, per ora, di mantenere purezza ed estrema coerenza ideologica. Tanto è il bisogno di agire che addirittura le elezioni diventano uno strumento politico fondamentale.
L’assemblea padovana ha voluto proporre tutto questo alla sua platea, rilanciando a giovedì 7 dicembre un ritrovo operativo (in sede ancora da decidere) per l’inizio dei lavori.
(anche se a noi la parola popolo non piace tantissimo) Potere al popolo!