Su Potere al Popolo

Ho scarse informazioni su Potere al popolo, e quindi ho molta difficoltà a rispondere alle vostre richieste. Ho letto il Manifesto e poco altro. Ho scritto dichiarando il mio interesse e chiedendo maggiori informazioni, ma ho ricevuto solo il rinvio al sito. Ho l’impressione, già da questo particolare, che la struttura organizzativa sia abbastanza fragile. Poiché nella mia zona non è percepibile alcuna azione politica di questa nuova associazione politica (e non penso sia l’unica in Italia), come potrei altrimenti farmene una idea? E come è impossibile per me, lo è chi sa per quanti altri.

Comunque il Manifesto ha suscitato la mia attenzione perché è scritto in un linguaggio fresco e incisivo, che mi ha ricordato Podemos più che le formazioni tradizionali della sinistra radicale. Confesso infatti che, stante anche l’adesione di alcune di esse al progetto di Potere al popolo, il dubbio che possano condizionarne la linea politica e la propaganda era forte, e non è certo tuttora svanito del tutto. Se gli atteggiamenti minoritari, rancorosi e settari che hanno caratterizzato la sinistra estrema prevalessero, il futuro di Potere al popolo ne sarebbe condizionato in modo gravemente negativo. Oggi esiste uno spazio politico che le strutture vecchie e imbalsamate di Liberi e uguali lasciano ampiamente scoperto. Ricoprirlo, cogliere il nuovo e porlo al centro dell’impegno e della lotta richiede un linguaggio nuovo e un modo nuovo di fare politica. E si tratta poi di individuarlo, questo nuovo, e di costruire su di esso tattica e strategia.

Le nuove questioni fondamentali mi sembrano soprattutto due: la questione giovanile e la questione della emigrazione. Due questioni collegate. La precarietà del lavoro giovanile provoca la fuga dei giovani dal nostro paese. Anche i nostri giovani conoscono insomma il dramma della  emigrazione, sono dunque costretti a muoversi su un terreno su cui possono incontrare i migranti che arrivano in Europa dal Sud e dall’Est del mondo. Se nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento lo spettro che spaventava il potere dominante era il proletariato, oggi è soprattutto l’emigrazione di milioni di uomini a cui il potere reagisce, al solito, alimentando la guerra fra i poveri: nell’Ottocento mettendo i contadini delle varie Vandee contro gli operai, oggi ponendo gli strati più sfruttati (economicamente) e più deprivati (culturalmente) contro quanti arrivano da noi in cerca di lavoro. È l’emigrazione la questione fondamentale, col suo corredo di razzismo e di rinascente fascismo, è questa la contraddizione centrale, e tale resterà almeno per tutto il secolo attuale. Sta succedendo qualcosa di enorme che l’Europa ha conosciuto solo nei secoli a cavallo della caduta dell’impero romano d’occidente, e una nuova organizzazione politica deve misurarsi anzitutto con questo gigantesco fenomeno.

Un ultimo dubbio. La partecipazione al voto. Bizzarra scelta in un momento in cui le masse esprimono la loro protesta rifiutandola. E soprattutto scelta precipitosa e un po’ avventata. Prima una organizzazione si dà una identità e una struttura organizzativa, poi eventualmente partecipa alle elezioni. Nella situazione attuale tale scelta mi sembra un mettere il carro davanti ai buoi. Raccogliere l’1% quale vantaggio all’idea rivoluzionaria può produrre? È più facile che possa contribuire a creare confusione e a identificare la nuova forza politica con tutte le altre, favorendo una condanna in blocco. Credere che partecipazione alle elezioni possa costituire una valida tribuna, è una illusione che già nel secolo scorso ha dato risultati fallimentari. Indubbiamente una lista come Potere al popolo può essere votata da una parte minima di quelle persone (fra cui il sottoscritto) che avrebbero invece annullato la scheda o sarebbe rimasta a casa il giorno del voto. Ma può bastare questa pur giusta considerazione?

Ma il cammino è lungo e uno sbaglio tattico può essere ancora accettato.

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