2. La buona differenza

In questo contesto assume una posizione fondamentale “1984”. Grazie alla sua capacità di produrre immaginario, di essere letto da intere generazioni di adolescenti, di essere riusato e alluso continuamente a ogni livello della produzione artistica e massmediatica, il romanzo di G. Orwell è pensabile come una delle matrici della rappresentazione della Cattiva Uguaglianza. In particolare la chiara carica antisovietica fa di 1984 un riferimento culturale importante nella rappresentazione che le società liberali si sono date del mondo comunista durante e dopo la guerra fredda e della forma di uguaglianza prodotta da quelle scelte politiche. L’onnipresenza del Partito, la produzione in serie indifferenziata, la censura, il collettivismo coatto diventano simbolo di una pianificazione economica divenuta pianificazione dell’uomo in ogni ambito della sua esistenza.  Lo scontro tra Winston e il Grande Fratello rappresenta allora lo scontro tra la libertà individuale e la coercizione all’uguaglianza prodotta dal potere, uno scontro che nella finzione distopica prende l’aspetto di un aut-aut senza alternative: o la libertà o l’uguaglianza. “1984” è stato imbracciato un po’ da tutti, a destra e a sinistra, come rappresentazione di un male generale sotto cui far cadere i propri nemici. L’immaginario prodotto dal romanzo, nel contesto più ampio della Cattiva Uguaglianza, si armonizza con l’avanzata del modello neo-liberista. In questo preciso humus culturale il discorso che lega un liberalismo attento alla questione della differenza al progetto neo-liberista ha trovato un terreno fertile (fatto di parole, immagini e valori condivisi) per diffondere a tutto tondo la sua critica al modello economico sovietico in primis, ma attraverso questo al modello socio-economico e politico caratteristico del compromesso social-democratico.

Non sappiamo se Milton Friedman – uno dei principali pensatori della teoria neo-liberista – pensi ad Orwell mentre sostiene che l’uguaglianza è in conflitto con la libertà e bisogna scegliere, ma possiamo immaginare che queste parole abbiano trovato risonanza con le immagini di Cattiva Uguaglianza diffuse nella cultura del suo uditorio.  Tra uguaglianza e libertà Friedman sceglie in maniera apodittica: una società che mette l’eguaglianza davanti alla libertà non avrà né l’una né l’altra, una società che mette la libertà davanti all’uguaglianza avrà un buon livello di entrambe.  Per Friedman il mercato è l’unica forza capace di garantire la prosperità di una società favorendone crescita e diffusione della ricchezza, del benessere e della libertà; un mercato che deve essere lasciato libero di esplicitarsi fuori da qualsiasi laccio o lacciuolo che lo indirizzi verso fini diversi dal suo esplicitarsi stesso. Se il mercato diventa un fine, la ricchezza che la sua liberalizzazione produce sarà talmente tanta da poter sgocciolare anche agli strati più bassi della gerarchia sociale. Se invece lo stato si mette di traverso, tra la società e il mercato, quest’ultimo si atrofizza facendo il male della società intera, anche e soprattutto agli strati più bassi di essa. Come nelle economie prodotte dal compromesso social-democratico o nelle programmazioni sovietiche, lo stato che cerca di addomesticare l’immensa forza vitale del mercato per ricondurla a fini diversi dal mercato stesso provoca solamente un danno a se stesso.

LA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO VA DI PARI PASSO CON LA LIBERAZIONE DELLA PERSONA DA OGNI LACCIO E LACCIUOLO CHE LIMITI LA SUA DIFFERENZA INDIVIDUALE

La liberalizzazione del mercato va di pari passo con la liberazione della persona da ogni laccio e lacciuolo che limiti la sua differenza individuale. Perché è proprio grazie a questa differenza che il mercato prospera, in una competizione generale che fa crescere la società intera. Nello stesso tempo inoltre, le condizioni poste dal mercato libero sono le migliori per il dilatarsi delle libertà dell’individuo. L’omologazione e la norma, oltre a negare l’individuo nella sua differenza, non producono crescita e ricchezza. Come in natura la mancanza di scambi genetici e di biodiversità impedisce l’evoluzione e produce razze deboli, così in economia. Lo stato social-democratico – quello del welfare universalistico che pretende limitare l’arbitrio del mercato redistribuendo una parte della ricchezza – sopprime con queste azioni la naturale diversità sociale; diventa una forza omologatrice che con le sue pensioni, le sue scuole pubbliche, la sua sanità gratuita, le sue edilizia popolare, mettendosi in mezzo tra datori di lavoro e lavoratori, costruisce zone estranee all’esplicitarsi libero delle logiche del mercato limitando quindi le spinte benefiche di questo. È uno stato che produce Cattiva Uguaglianza, poiché è l’uguaglianza che in ogni sua forma è – e non può che essere – Cattiva Uguaglianza, soppressione delle differenze, normatività, limitazione della libertà dell’individuo.  È uno stato che vuole agire sulla società costringendo gli individui ai suoi piani e ai suoi modelli e limitandone quindi la libertà di azione e l’esplicitarsi del valore prodotto dalla loro intrinseca differenza, sia sul piano economico che sul piano esistenziale: uno stato che nel mondo di Friedman assomiglia un po’ al Grande Fratello, solo un po’ più paternalista. Inoltre il mercato è l’unico spazio in cui persone diverse per provenienza geografica, lingua, religione, scelte sessuali collaborano senza esservi costrette. Ogni oggetto che noi compriamo al supermercato – ci insegna Friedman – è frutto del lavoro di migliaia lavoratori differenti che hanno partecipato alla sua produzione senza costrizione: è il miracolo dell’unanimità senza conformità, prefigurazione della pace tra i popoli, della fine delle discriminazioni e dei pregiudizi; non come imposizione dell’imperatore o di un parlamento ma come scelta libera e razionale di collaborazione: chi discrimina danneggia se stesso, ed è quindi irrazionale, perché limita le proprie scelte.

Ma, oltre ad essere lo spazio migliore entro il quale la differenza può prosperare, il mercato produce – per il modo stesso in cui funziona il mercato di una società capitalistica – disuguaglianza. Friedman lo sa e non solo. Sostiene che il mercato per crescere abbia bisogno di quella particolare differenza che è la differenza socio-economica: dell’affacciarsi e affrontarsi, nelle megalopoli del terzo mondo, dei palazzi di vetro da 30 piani con le baraccopoli di latta. È proprio dall’incontro della ricchezza sfrenata con la più bieca povertà, due corpi con elevata differenza di potenziale, che nasce il movimento, la crescita, la vita. Non solamente per la necessità del capitale di trovare mano d’opera a basso prezzo e ad alto livello di ricattabilità ma per la varietà sociale stessa, fondamentale in tutte le sue forme, anche in quella socio-economica per garantire la vivacità del mercato.

Se l’utopia della lotta alle disuguaglianze produce Cattiva Uguaglianza e incrementa la disuguaglianza stessa atrofizzando il mercato, allora la disuguaglianza deve essere accettata con il fatalismo con cui si accetta la pioggia i fine settimana di Maggio. Questo non significa lasciare i poveri del mondo alla loro povertà (che magari poi si organizzano e ti ribaltano i governi) ma significa costruire meccanismi funzionanti di mobilità sociale (anche i ricchi se non sentono la competizione si impigriscono, devono essere pure loro sempre sul chi va là, coscienti che è finito il tempo in cui si può vivere di rendita).  Al modello dell’uguaglianza di risultato, cattiva per tutto quello che è stato detto finora, e prodotto del sogno socialista e del compromesso social-democratico, bisogna sostituire l’uguaglianza di possibilità; eliminare gli ostacoli che producono le differenze per fare in modo che ogni individuo abbia la possibilità e la libertà di provare la sua personale scalata al successo – per il bene suo e della società tutta (nel modello neo-liberista gli interessi dell’individuo e quelli della società coincidono in modo inscindibile; il bene economico di uno diventa grazie al meccanismo mistico dello sgocciolamento il bene di tutti.)  Questo risulta allora essere l’unico modo in cui si può dire e pensare l’uguaglianza senza richiamare alla mente di chi ascolta fantasmi spaventosi, sogni egalitari divenuti incubi di controllo e uniformità.  Basta subordinare l’égalité e la fratérnité alla libérté (del mercato) e ci si porta a casa tutto il terzetto rivoluzionario.