Nel sistema neoliberale tutto è costruito intorno al mercato che diventa il protagonista della scena, prendendo le sembianze di un vero e proprio soggetto capace di esprimere liberamente il proprio volere. La libertà degli individui, attuata nel consumo, è così solo negativa: si tratta di poter scegliere fra possibilità pre-formulate, che nella pratica acquistano la forma della merce. Anche i desideri dei soggetti, teoricamente posti al centro di questo schema, perdono sostanza, perché acquistano fin da subito una forma precisa, quella oggettuale e mercificata.
L’individuo perde in fatto di autonomia, non ha quel libero arbitrio che sempre ritiene di possedere. Le scelte compiute dal singolo sono infatti frutto di una manipolazione che sta a monte di esse, che propone un certo range di possibilità e non altre: in questa lotta senza fine, il mercato ha la meglio. L’identità del soggetto è sempre meno definita, si arriva alla creazione di identità con il consumo che genera differenza. Si deve così dire, quasi come un mantra di questa società, che noi siamo ciò che compriamo, e in base a quello definiamo le nostre cerchie sociali, i nostri interessi, la nostra esistenza.
Se domandassimo a dei ragazzi che lavoro vorrebbero fare nella loro vita potremmo sentirci rispondere l’influencer, e non l’astronauta o il veterinario: vorrebbero accendere la telecamera e riprendere la propria vita. Questa, che è ormai una professione vera e propria, può essere intrapresa da chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Basta creare un proprio canale o profilo sui vari social network e coinvolgere miliardi di persone in ciò che si fa. All’inizio, si potevano incontrare alcuni influencer con una propria inventiva e creatività, che sui social condividevano effettivamente dei contenuti da loro plasmati; tuttavia, ad oggi l’interesse si è spostato, conta molto far aumentare le visualizzazioni, essere conosciuto da più persone, essere imitato da più persone. Chiunque può svegliarsi la mattina e mostrare su Instagram ciò che ha mangiato, condividere gli acquisti o fare in ‘diretta’ gli unboxing di ciò che si è ordinato online e se il tutto è fotografato e ripreso abbastanza bene, con la giusta luce e il giusto contrasto di colori, può sperare di poter diventare ‘qualcuno’ proprio a partire da quella colazione.
I soggetti che si espongono lo fanno mostrando la propria vita e diventano un modello per chiunque li veda. Quando l’influencer è diventato abbastanza “influente”, varie aziende iniziano ad interessarsi a lui, che diviene pubblicità in carne ed ossa. L’influencer oggi crea la propria identità attraverso il consumo, lui è ciò che compra e con la sua professione innesta, in chi lo guarda, la spinta all’imitazione. La creazione di identità a questo punto è al secondo grado: c’è chi dà un modello, determinando la propria persona in base a ciò che indossa o consuma o fa; e chi lo imita.
La teoria dell’ago ipodermico, secondo la quale il marketing si insinua come un ago sottopelle, convincendo subdolamente il consumatore a compare un prodotto piuttosto che un altro, a fare un certo tipo di esperienza piuttosto che un’altra, è superata. Serve qualcosa di più sottile e indiretto tale da poter irrompere nelle case di tutti, a qualsiasi ora: la figura dell’opinion leader. Insinuandosi in qualsiasi campo del quotidiano, egli rappresenta un vettore attraverso cui passa la spinta al consumo. Si passa da ciò che quell’opinion leader cucina, ai viaggi che fa in giro per il mondo. Così, con questa mossa di marketing, si è data risposta a un’esigenza interna al mercato: la necessità di un cambiamento dello stimolo per l’acquirente. Questi modelli diventano degli effettivi esempi di vita per chi li segue, nasce il desiderio di “essere come loro”.
Tale emulazione ricade sul mercato: Il cerchio si chiude e si forma la struttura influencer-pubblico-imitazione-acquisto. Questo circolo non smetterà mai potenzialmente di funzionare, ci sarà sempre un nuovo prodotto, una nuova esperienza, una nuova ricetta da emulare. Chi guarda quindi – inconsapevolmente? – definisce se stesso sulla base di uno o di altri, che a loro volta fondano la propria identità sul consumo. L’elemento più forte in questo processo è la convinzione da parte dell’osservatore di crearsi una propria identità, ma soprattutto una propria unicità rispetto agli altri.
Il mercato delle edizioni limitate rende ancora più visibili queste logiche: prodotte da brand in collaborazione con alcuni stilisti, consistono in pezzi unici che una volta messi in commercio e venduti non saranno più disponibili. Queste collezioni, che si differenziano dalle normali produzioni per una serie di caratteristiche anche minime, scatenano una vera e propria corsa all’acquisto. La nuova mossa del marchio H&M è quella di lanciare una linea in collaborazione con lo stilista Giambattista Valli il prossimo autunno. Ci sarà però la possibilità di accedere a una pre-collection a fine maggio solo nello store di Milano e online. Qui lo stimolo per l’acquirente è doppio: non solo si tratta di una collezione unica perché fatta con lo stilista, ma a questa si potrà accedere prima degli altri, collegandosi sul sito sperando di comprare qualcosa prima degli altri o mettendosi in fila fuori dal negozio di Milano. Le merci acquistate, inoltre, tendono ad aumentare di valore con l’espandersi di questo mercato, dando vita a un’ulteriore corsa all’accaparramento: si può anche approfittare rivendendo i prodotti ad altri collezionisti, ricavando più del doppio del prezzo pagato inizialmente.
Anche il prezzo in questo quadro ha un ruolo centrale. Per ottenere questi capi, creati in collaborazione con stilisti, atleti e popstar, naturalmente si deve pagare molto. Il concetto di fondo è: con questo prodotto ci si distingue dagli altri. La ridotta produzione e il prezzo elevato potrebbero far pensare a un prodotto migliore rispetto all’oggetto di serie; tuttavia, pochi mesi dopo il lancio di queste edizioni, vengono normalmente messe in commercio le versioni “povere” di quei prodotti, cioè gli stessi modelli senza alcuna collaborazione: quel che va perso è l’alone di unicità. Solo chi ne avrà già approfittato quando era il momento potrà definirsi “unico”, differenziandosi dalla massa, sentendosi allo stesso tempo parte di qualcosa e superiore rispetto a qualcun altro – chi non acquista quell’edizione limitata.
L’acquisto quindi fornisce identità. In base a ciò che si compra si è qualcuno, e la definizione dell’identità attraverso le differenze nel consumo è economicamente (almeno in apparenza) alla portata di tutti. Il processo di creazione di identità attraverso il consumo inizialmente marcava solo una differenza socio-economica, alla base della quale c’era la disponibilità finanziaria. Il processo in atto è molto più complesso, comporta altri fattori: la merce si muove trasversalmente alla classe, fornisce all’uomo uno schema con cui provare il suo legame con la collettività, fino a determinare la costruzione, intorno all’acquisto, di tribù. Le differenze di classe, anzi, possono essere nascoste attraverso il consumo.
Si può fare l’esempio dell’iPhone: oggi chiunque può averlo, indipendentemente dal potere d’acquisto. Possedere un certo oggetto non definisce per forza l’appartenenza a una classe, sancendo piuttosto, e più spesso, l’appartenenza o meno a una comunità, che si crea intorno e in funzione dell’oggetto stesso. Un dipendente e il suo amministratore delegato possono avere entrambi l’iPhone, che con qualche sacrificio è alla portata di chiunque abbia un lavoro; la differenza socioeconomica fra i due sembra passare in secondo piano, diviene meno visibile. Vedendoli vicini in un qualsiasi momento della giornata, chiusi nei loro uffici, potrebbero quasi sembrare uguali; nel momento in cui escono da lavoro il primo torna nella sua casa – quartiere residenziale, ville a schiera e immensi giardini – e il secondo nel dormitorio o nel ghetto, con case accatastate e troppa gente.
In ogni caso, si tratti di acquistare l’ultimo modello dell’iphone o di rincorrere un’edizione limitata, l’acquisto risponde alla necessità di costruirsi una propria identità, sancendo una differenza con gli altri consumatori. Il consumo diventa così il modello sul quale si attua la costruzione dell’uomo, anzi dell’uomo-consumatore.