4. Le lacrime di Achille

Alla fine di tutto, il 4 settembre 1991 – sciolto il Partito fondato nel 1921 da Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Amedeo Bordiga e nato il PDS, che poi sarà nel 1998 DS e nel 2007 uno dei nuclei fondativi del PD – Achille Occhetto scoppia in lacrime. Qualcuno ci vede le lacrime del coccodrillo che si rammarica dopo essersi saziato della propria preda; qualcuno lo sfogo naturale di un uomo che ha retto – malgrado tutto e tutti – uno sforzo sovraumano; qualcuno il conflitto tra il cuore che ancora batte alle note di Bandiera Rossa e la ragione che dice che oramai non è più tempo. Quale che sia l’interpretazione migliore di quelle lacrime sappiamo che Achille Occhetto le ha piante gli occhi rivolti al passato glorioso e infame del Partito Comunista Italiano nel momento stesso in cui diventava definitivamente passato; le spalle rivolte al futuro che lì si apprestava a cominciare.  È difficile sapere cosa si veda da quel punto della storia italiana; di certo non si vede quello che vediamo noi adesso. Achille Occhetto non può sapere – un po’ stiamo scommettendo sulla sua sincerità ma ci assumiamo il rischio – che la fine della differenza comunista troverà un significato pieno nell’accettazione del mercato e della sua specifica giustizia, che l’apertura al mondo si realizzerà veramente, ma che il mondo dal quale il PCI si forzatamente era separato è quello dove dominano incontrastati gli interessi del capitale.  Non può immaginare che la fine della rigidità ideologica troverà pieno compimento in quell’ideologia morbida che si presenta come sguardo realista e neutro sul mondo che è il neo-liberismo. Dall’oggi si vede chiaramente che lo spazio che Achille Occhetto ha aperto viene in poco tempo colonizzato e ridotto ad uno specchio del mondo e ad uno strumento di governo dell’essente e dei suoi interessi senza possibilità altre. Unire gli ideali di libertà ed uguaglianza ha significato ricondurre tutto sotto l’egemonia di una libertà e di un’uguaglianza precise: quelle dell’individuo come attore del mercato e nucleo primario di un profitto, suo o altrui che sia. Parole come conflitto e contraddizione, o una critica all’organizzazione economica e sociale e al modello di produzione, di vita e di consumo dei paesi più ricchi e industrializzati, ancora centrali nei discorsi di Achille Occhetto, sono dopo dieci anni di crisi scomparse dal dibattito pubblico e risulta a tutti difficile pronunciarle, a tavola a Natale come in televisione.  Da quel palco di Rimini, Achille Occhetto non sa cosa alle sue spalle sta preparando la storia, e piange.