Intervista a Carola Carazzone di Assifero

Assifero è stata fondata il 14 luglio 2003. È l’associazione nazionale delle Fondazioni ed Enti filantropici italiani, ossia soggetti no profit di natura privatistica con la missione di catalizzare risorse private da destinare al bene comune. In Italia Assifero è il punto di riferimento della filantropia istituzionale, associa le principali Fondazioni private e Enti filantropici del paese.

Che cosa rappresenta il terzo settore nella società contemporanea? Quali sono i suoi scopi?

Come sta dimostrando questa crisi, il terzo settore è uno dei pilastri della società contemporanea: si occupa delle cause che stanno a cuore a tutti noi, il cuore della umanità. La potenza del terzo settore risiede nella sua immaginazione sociale e nella sua capacità di riunire centinaia, migliaia di persone intorno a una causa comune. Le organizzazioni del terzo settore sono in grado di trasformare la nostra società perché innescano processi capaci di produrre valore durante il percorso, talvolta lungo e accidentato, necessario per raggiungere il risultato finale. Gli Enti del terzo settore operano per il bene comune, facendo un lavoro insostituibile che non soltanto regge il sistema di welfare pubblico, ma costruisce fiducia, capitale sociale, coesione. 

Quali sono secondo voi le fragilità più rilevanti del terzo settore?

Sicuramente la fragilità strutturale delle organizzazioni stesse causata dal falso mito che i costi di struttura degli enti debbano essere ridotti all’osso e, di conseguenza, che i finanziamenti debbano essere destinati solo ai progetti. Gli effetti devastanti di questa dinamica li vediamo più che mai in questa emergenza: non avendo potuto accantonare risorse, le organizzazioni si trovano oggi ad affrontare forti problemi di liquidità e mantenimento della propria struttura, a partire dai costi del personale, oltre a essere in forte difficoltà nel riconvertire in remoto le loro azioni.

Questa barriera ideologica ha messo il freno a mano al terzo settore e gli impedisce di fare il salto propositivo necessario per essere motore di trasformazione e catalizzatore d’innovazione sociale e sviluppo umano. Investire negli enti, nel loro sviluppo e nelle persone che lavorano al loro interno, è fondamentale per avere organizzazioni più forti, capaci, resilienti e creative in grado di portare avanti la loro missione al meglio. Tuttavia, la maggior parte delle pratiche di finanziamento correnti si focalizzano solo sui progetti, riducendo a una minima parte la copertura dei costi della struttura. Come Assifero, abbiamo lanciato il 14 marzo l’appello alle fondazioni ed enti filantropici per invitarle, a partire da questo momento difficile, a impegnarsi a coprire con i loro finanziamenti una quota maggiore dei costi di struttura e a modificare le modalità di reportistica e rendicontazione, oltre a mettersi all’ascolto delle organizzazioni del terzo settore con cui collaborano, andando a lavorare in un’ottica di vero partenariato. Questo appello è stato scalato il 25 marzo anche a livello europeo, da Dafne (Donors and Foundations Networks in Europe) e Efc (European Foundation Centre): a oggi si contano 185 firmatari, di cui 46 sono fondazioni ed enti filantropici italiani.

Sempre più il mondo no profit si è fatto carico di alcuni bisogni essenziali, anche storicamente gestiti dai sistemi di welfare-state. E’ possibile che questi due settori (stato e no profit) cooperino o rischiamo che lo stato si alleggerisca sempre più di alcune sue funzioni e prerogative?

Negli ultimi trent’anni ci si è affidati al mercato, considerato come il sistema in grado di risolvere “i mali del mondo”. L’emergenza in qualche modo ha fatto tornare prepotentemente il desiderio di intervento dello stato. Oggi, il terzo settore deve emergere in maniera chiave come attore protagonista in grado di diffondere i propri valori, attraverso la contaminazione bilaterale nei confronti di stato e mercato, sulla scorta dell’incredibile e rapida risposta che ha dato per far fronte all’emergenza. Attenzione però: questo non significa che le organizzazioni del terzo settore vadano viste come “tappabuchi” capaci di compensare un welfare traballante e relegarle a fornitori di servizi a basso costo. Il terzo settore è in grado di produrre valore nel percorso che intraprende per raggiungere la sua missione e fonda il proprio operato su processi partecipativi in grado di coinvolgere i vari attori: il lavoro in vero partenariato, il pensiero e il coinvolgimento a lungo termine, i beni relazionali. Queste caratteristiche rendono le organizzazioni del terzo settore interpreti privilegiati e promotori del cambiamento, sempre nell’ottica della protezione dei più vulnerabili. Essere protagonisti, tuttavia, non significa operare da soli: il successo del terzo settore sarà sempre più collegato alle capacità d’integrazione e contaminazione nei confronti dello stato e del mercato. Questa è la grande sfida che dovremo vincere!

La riforma del terzo settore dovrebbe permettere al mondo no profit di fare un salto di qualità, anche favorendo un rapporto più strutturato sia con lo stato che con l’impresa e l’economia tradizionali. Spesso sentiamo parlare di capitalismo etico, è possibile che i valori e i principi del volontariato e della filantropia influenzino pesantemente i meccanismi di mercato? Ci sono rischi che succeda l’opposto?

La riforma del terzo settore rappresenta un passo davvero importante: riconosce formalmente e regolamenta sotto un unico codice gli Enti del terzo settore. Dà quindi un’identità chiara e rafforzata al terzo settore, e questo favorirà un rapporto più strutturato ma anche più strategico sia con lo stato che con il mondo profit.

Il mondo delle imprese profit sta dando una crescente importanza all’impatto generato dal proprio business. Ciò avviene per diverse ragioni, prima tra tutti la grande attenzione e la richiesta da parte dei cittadini, in particolare delle generazioni più giovani, di maggiore responsabilità delle aziende sulle conseguenze ambientali e sociali del proprio ciclo produttivo. Il grande rischio che si pone davanti è che, non essendoci ancora strumenti e regole chiare e precise nella misurazione, si sta “diluendo” il concetto di impatto. Come dice spesso Mario Calderini, Professore del Politecnico di Milano e Direttore di Tiresia, se tutto è ad impatto allora niente è impatto. C’è quindi il pericolo che il terzo settore venga fagocitato nella sua vera essenza, lavorare per il raggiungimento del bene comune, dal mondo profit, più strutturato e in grado di appropriarsi agli occhi dell’opinione pubblica della missione propria delle organizzazioni del terzo settore.

L’emergenza da Covid-19 – che ha visto in primo piano anche il terzo settore – ha riportato al centro alcune questioni, come bisogno, povertà, diritto alla salute, organizzazione. Cambierà qualcosa per il mondo no profit? Ci riferiamo anche ai modelli di funzionamento del terzo settore, una realtà composita di tanti soggetti talvolta poco coordinati e in competizione tra loro e che spesso procedono per lavori a progetto, seguendo l’andamento di bandi e finanziamenti saltuari. Sappiamo che questa sua caratteristica ne costituisce per certi versi un elemento di grande vitalità, eppure pare anche un argine per una più robusta generatività sociale.

Questa emergenza ha messo in luce la potenza ma allo stesso tempo la fragilità delle organizzazioni del terzo settore del nostro Paese. La mia grande speranza è che questa crisi possa essere rigenerativa, spingendo a quel cambiamento culturale necessario per modificare, innanzitutto, le modalità di finanziamento e rendicontazione imposte alle organizzazioni del terzo settore permettendo loro di crescere e continuare a cambiare ancora più efficacemente il mondo in cui viviamo. Questa emergenza può anche essere l’occasione per ripensare in un’ottica di vero partenariato alla pari la relazione tra fondazioni ed enti filantropici con gli enti che supportano. Solo così si potrà rafforzare il terzo settore e renderlo ancora più resiliente, creativo, capace e rigenerativo. Per stimolare il confronto e il dibatto su questi temi in un momento così delicato e importante, come Assifero, insieme ad Ashoka Italia, il 28 maggio abbiamo lanciato e reso disponibile online “Accogliere la complessità. Verso una comprensione condivisa del finanziamento e supporto al cambiamento sistemico”, la traduzione italiana del rapporto realizzato da Ashoka e McKinsey con vari partner e presentato a Davos nel 2020. Questo lavoro, oggi più rilevante che mai, vuole offrire uno spunto e un punto di partenza a tutti coloro sono interessati a fare evolvere le loro pratiche di finanziamento al cambiamento sistemico, delineando cinque principi guida: accogliere una mentalità sistemica; sostenere i percorsi evolutivi verso il cambiamento sistemico; lavorare in un vero e proprio partenariato; prepararsi per un impegno a lungo termine; e collaborare con altri portatori d’interesse. Questo rapporto non si propone come soluzione facilmente replicabile, bensì vuole porre le basi per la costruzione di un linguaggio comune; è un quadro di riferimento, adattabile ai diversi contesti, utile alle fondazioni ed enti filantropici, e non solo, interessate a sviluppare il loro modello di finanziamento, il più delle volte obsoleto e lineare e non adatto alle complesse sfide sistemiche del nostro tempo. 

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